Cosa Vedere a Vada
Relitto del Genepesca - Secche di Vada
Il Relitto del Genepesca, adagiato sul fondale
delle cosidette "Secche di Vada", è molto noto tra i subacquei
della Toscana, essendo situato ad una profondità che varia
da 20 a 30 metri nel punto più profondo, costituisce una
immersione subacquea di media difficoltà e quindi accessibile
anche a subacquei senza grandissima esperienza, spesso indispensabile
per affrontare immersioni su relitti a maggiori profondita.
Il Genepesca è una grande motonave con una stazza di circa 1000 tonnellate per 78,71 metri di lunghezza e 12,23 metri di larghezza. Costruita nel 1940 nei Cantieri di Riva Trigoso apparteneva alla Compagnia Generale della Grande Pesca affondata, tra il 1943 ed il 1945, a causa dell'urto con una mina durante la seconda guerra mondiale.
Il Relitto del Genepesca è spezzato in due parti situate a circa 60 metri di distanza l'una dall'altra. La parte più grande della nave (circa 2/3) è quella della poppa, adagiata orizontalmente al fondale in assetto di naviagazione e comprende il fumaiolo, la sala macchine parte delle stive e il ponte di comando, mentre la prua della nave nello spezzarsi si è adagiata al fondo su un fianco. Il luogo di immersione "Secche di Vada" presenta di solito una buona visibilità e correnti molto leggere. Durante le immersioni non è raro avvistare polpi, murene e cernie che stazionano nei pressi del Relitto.
Per effettuare una immersione subacquea sul Relitto del Genepesca in tutta sicurezza e con adeguati mezzi di assistenza tecnica durante l'immersione, è certamente consigliabile rivolgersi ad uno dei vari Diving Center della Provincia di Livorno che oltre ai classici servizi come la ricarica bombole sub, noleggio di attrezzatura e imbarcazioni Sub, sovente effettuano escursioni subacque guidate alle Secche di Vada e pertanto conoscono molto bene la zona di immersione.
Il Genepesca è una grande motonave con una stazza di circa 1000 tonnellate per 78,71 metri di lunghezza e 12,23 metri di larghezza. Costruita nel 1940 nei Cantieri di Riva Trigoso apparteneva alla Compagnia Generale della Grande Pesca affondata, tra il 1943 ed il 1945, a causa dell'urto con una mina durante la seconda guerra mondiale.
Il Relitto del Genepesca è spezzato in due parti situate a circa 60 metri di distanza l'una dall'altra. La parte più grande della nave (circa 2/3) è quella della poppa, adagiata orizontalmente al fondale in assetto di naviagazione e comprende il fumaiolo, la sala macchine parte delle stive e il ponte di comando, mentre la prua della nave nello spezzarsi si è adagiata al fondo su un fianco. Il luogo di immersione "Secche di Vada" presenta di solito una buona visibilità e correnti molto leggere. Durante le immersioni non è raro avvistare polpi, murene e cernie che stazionano nei pressi del Relitto.
Per effettuare una immersione subacquea sul Relitto del Genepesca in tutta sicurezza e con adeguati mezzi di assistenza tecnica durante l'immersione, è certamente consigliabile rivolgersi ad uno dei vari Diving Center della Provincia di Livorno che oltre ai classici servizi come la ricarica bombole sub, noleggio di attrezzatura e imbarcazioni Sub, sovente effettuano escursioni subacque guidate alle Secche di Vada e pertanto conoscono molto bene la zona di immersione.
Archeoparco Terme di San Gaetano
Nell'area archeologica in località San Gaetano di Vada, sono stati
messi in luce, nel corso di sistematiche campagne di scavo, due
edifici termali e grandi horrea (magazzini) pertinenti all'abitato
romano di Vada Volaterrana, ubicati in prossimità della linea
della riva di quel tempo e non lontano dal porto antico, che si
ritiene fosse nell'area dell'attuale pontile della Società Solvay.
Gli horrea, costruiti come le terme sulla sabbia delle dune costiere,
consistono in grandi vani rettangolari, con pavimenti in argilla,
disposti attorno ad un cortile porticato centrale (seconda metà
circa del I sec. d.C. - VI sec. d.C.); furono utilizzati per attività
artigianali, oltre che commerciali. Gli edifici termali, rispettivamente
ubicati ad ovest e ad est degli horrea e costruiti nella seconda
metà del I sec. d.C. e agli inizi del II sec. d.C., si articolano
in vani destinati ad attività igieniche e ricreative. A livelli
inferiori sono state individuate tracce di capanne etrusche databili
nell'VIII-VII sec. a.C., forse usate stagionalmente per la caccia
e la pesca. Altre ricerche, compiute nei fondali marini antistanti
Vada fin dal 1976 per iniziativa di un gruppo archeologico subacqueo,
hanno consentito di accertare la presenza di una rilevante quantità
di marmo lavorato, proveniente dalle numerose navi che vi si sono
inabissate fin dall'epoca romana.
Le piccole terme: si affacciavano ad Ovest sulla spiaggia e si appoggiavano, ad Est, agli horrea. Si articolavano in ambienti di servizio (fra cui i praefurnia, forni con accessi esterni indipendenti) e in vani a disposizione dei frequentatori. Quelli riscaldati erano caratterizzati da spessi pavimenti in cocciopesto sostenuti da colonnine di mattoni quadrati (cm. 22x22), alte cm. 60 (2 piedi romani), che permettevano la circolazione dell'aria calda proveniente dai forni; questa saliva ai comignoli attraverso intercapedini realizzate con tegole (mammatae) e/o attraverso tabuli in terracotta a sezione quadrangolare, che foderavano le pareti. Il pubblico accedeva alle piccole terme da Est; tramite il vano degli horrea entrava in portico curvilineo, affrescato, leggermente sopraelevato rispetto all'area scoperta, grosso modo semicircolare, della palestra pavimentata in opus signinum e bordata ad Ovest da blocchi di panchina nei quali e' incavato un canaletto per convogliare l'acqua piovana in direzione del fognolo. Dalla palestra si accedeva al vestibolo; qui o nell'attiguo vano i clienti lasciavano gli effetti personali prima di iniziare il percorso termale entrando nel vano. (laconicum/sudatio) che, riscaldato dal forno funzionava come una sauna.
Da qui si passava nelle stanze per le abluzioni con l'acqua tiepida (tepidarium) o calda, dove erano due vasche, murate lungo i lati Ovest e Nord, servite dal serbatoio metallico per acqua (testudo) poggiato sul basamento al centro dell'ambiente. Dopo il bagno caldo si tornava nel vestibolo, per immergersi nella vasca di acqua fredda il cui canaletto di deflusso, aperto verso Ovest, era regolato da un chiusini (cataracta). Ad uso dei bagnanti era un altro vano, le cui successive, radicali ristrutturazioni hanno obliterato le tracce alla destinazione originaria. Si tratta di un vasto ambiente, cui si accedeva tramite il probabile apodyterium; qui i clienti potevano forse detergersi, ungersi sottoporsi a massaggi e poi, eventualmente raggiungere il mare tramite l'apertura ubicata sul lato Nord-Ovest. Nell'attigua abside forse non afferente alla fase edilizia originaria delle terme, doveva esser ubicata una vasca. Nell'edificio sono evidenti ristrutturazioni e restauri di cui possiamo individuare soltanto la cronologia relativa.
Le piccole terme: si affacciavano ad Ovest sulla spiaggia e si appoggiavano, ad Est, agli horrea. Si articolavano in ambienti di servizio (fra cui i praefurnia, forni con accessi esterni indipendenti) e in vani a disposizione dei frequentatori. Quelli riscaldati erano caratterizzati da spessi pavimenti in cocciopesto sostenuti da colonnine di mattoni quadrati (cm. 22x22), alte cm. 60 (2 piedi romani), che permettevano la circolazione dell'aria calda proveniente dai forni; questa saliva ai comignoli attraverso intercapedini realizzate con tegole (mammatae) e/o attraverso tabuli in terracotta a sezione quadrangolare, che foderavano le pareti. Il pubblico accedeva alle piccole terme da Est; tramite il vano degli horrea entrava in portico curvilineo, affrescato, leggermente sopraelevato rispetto all'area scoperta, grosso modo semicircolare, della palestra pavimentata in opus signinum e bordata ad Ovest da blocchi di panchina nei quali e' incavato un canaletto per convogliare l'acqua piovana in direzione del fognolo. Dalla palestra si accedeva al vestibolo; qui o nell'attiguo vano i clienti lasciavano gli effetti personali prima di iniziare il percorso termale entrando nel vano. (laconicum/sudatio) che, riscaldato dal forno funzionava come una sauna.
Da qui si passava nelle stanze per le abluzioni con l'acqua tiepida (tepidarium) o calda, dove erano due vasche, murate lungo i lati Ovest e Nord, servite dal serbatoio metallico per acqua (testudo) poggiato sul basamento al centro dell'ambiente. Dopo il bagno caldo si tornava nel vestibolo, per immergersi nella vasca di acqua fredda il cui canaletto di deflusso, aperto verso Ovest, era regolato da un chiusini (cataracta). Ad uso dei bagnanti era un altro vano, le cui successive, radicali ristrutturazioni hanno obliterato le tracce alla destinazione originaria. Si tratta di un vasto ambiente, cui si accedeva tramite il probabile apodyterium; qui i clienti potevano forse detergersi, ungersi sottoporsi a massaggi e poi, eventualmente raggiungere il mare tramite l'apertura ubicata sul lato Nord-Ovest. Nell'attigua abside forse non afferente alla fase edilizia originaria delle terme, doveva esser ubicata una vasca. Nell'edificio sono evidenti ristrutturazioni e restauri di cui possiamo individuare soltanto la cronologia relativa.
Torre di Vada
La Torre di Vada risale nel suo impianto
originale al 1279; venne edificata dal Comune di Pisa, nel cui
sistema portuale Vada era saldamente inserita, con la duplice
funzione di vigilanza e di faro di supporto ai naviganti in
un tratto di mare particolarmente insidioso. Nell'avanzato XV
secolo, in una situazione politica e militare assai mutata,
al centro di un territorio ormai spopolato e paludoso, l'antico
fortilizio venne ristrutturato dal governo Fiorentino ed entrò
a far parte dell'ampio ed efficiente sistema di difesa costiero
del nuovo stato regionale. Le torri, restaurate o di nuova costruzione,
dovevano proteggere la desolata costa toscana dalle rapide e
frequenti incursioni Saracene. A questo compito si aggiunse
poi, dopo la costruzione del porto di Livorno, la protezione
contro lo sbarco di contrabbandieri che volevano sottrarsi al
controllo doganale e quella di presidio sanitario, contro il
dilagare delle nuove malattie che aveva fatto seguito alla scoperta
e ai commerci con il nuovo mondo.
Controllando l'intera costa toscana consentivano infine un controllo sui convogli in arrivo ed in partenza, evitando al governo mediceo le spese di allestimento di una flotta. Il vecchio edificio medievale venne così inglobato in una nuova costruzione, concepita come un enorme contrafforte avvolgente: dalla piccola e semplice torre quadrangolare a pareti verticali si pervenne alla complessa struttura a base troncopiramidale che si può ammirare ancora oggi. Il nuovo edificio rispondeva alle moderne esigenze militari: i forti spessori in basso potevano meglio resistere al fuoco dell'artiglieria, mentre il corpo in alto fortemente aggettante sul cornicione aumentava la superficie destinata alla Batteria posta sulla sommità della Torre.
La Torre di Vada ebbe il compito di vigilare un tratto di mare assai esteso. Le due torri limitrofe erano a nord quella di Castiglioncello e a sud quella di Bocca di Cecina. Con entrambe, così come con il Castello di Rosignano Marittimo, la cui rifortificazione risale agli stessi anni, era assicurato il contatto visivo in modo tale da permettere le necessarie segnalazioni in caso di pericolo. La notevole distanza tra le tre torri assicurava tuttavia solo un controllo generale, ma non la vigilanza particolare delle varie anse del litorale o di punti di particolare importanza come la foce del Fine. A questo compito erano destinati i Cavalleggeri che percorrevano la costa tra torre e torre, lungo un percorso costiero che in alcuni tratti ancora ne porta il nome. La descrizione che della Torre di Vada dà l'ingegnere Odoardo Warren, incaricato nel decennio 1739-49 dai Lorena di una supervisione dei forti costieri, mostra che la Torre era circondata da un fossato probabilmente comunicante con il mare, superato da un ponte levatoio (ricalcato oggi da una passerella in muratura). Warren racconta come la torre fosse al centro di vaste e malsane paludi e che 'le truppe che vi vengono mantenute hanno l'aria di essere sempre malate'.
Annessa alla torre vi era la dipendenza assai ampia, costituita da una serie di locali che giravano intorno ad un cortile. Vi erano stanze destinate al castellano, gli alloggi della guarnigione, il forno, la stalla ed una cappella. Al contrario la torre era assai angusta, nonostante la sua mole, ed aveva spazi appena sufficienti al presidio militare, al guardiano del faro e a tenervi qualche pezzo di artiglieria.
Perduta nel corso dell'800 ogni importanza strategica, la Torre ha però continuato a funzionare come faro fino ad epoca molto recente. Fu proprio per installare un faro di maggiore portata che nel 1948-49 venne demolito l'originale tetto a padiglione, oggi ricostruito dopo un'accurata opera di restauro. Oggi la Torre del Faro è adibita a laboratorio di educazione ambientale.
Controllando l'intera costa toscana consentivano infine un controllo sui convogli in arrivo ed in partenza, evitando al governo mediceo le spese di allestimento di una flotta. Il vecchio edificio medievale venne così inglobato in una nuova costruzione, concepita come un enorme contrafforte avvolgente: dalla piccola e semplice torre quadrangolare a pareti verticali si pervenne alla complessa struttura a base troncopiramidale che si può ammirare ancora oggi. Il nuovo edificio rispondeva alle moderne esigenze militari: i forti spessori in basso potevano meglio resistere al fuoco dell'artiglieria, mentre il corpo in alto fortemente aggettante sul cornicione aumentava la superficie destinata alla Batteria posta sulla sommità della Torre.
La Torre di Vada ebbe il compito di vigilare un tratto di mare assai esteso. Le due torri limitrofe erano a nord quella di Castiglioncello e a sud quella di Bocca di Cecina. Con entrambe, così come con il Castello di Rosignano Marittimo, la cui rifortificazione risale agli stessi anni, era assicurato il contatto visivo in modo tale da permettere le necessarie segnalazioni in caso di pericolo. La notevole distanza tra le tre torri assicurava tuttavia solo un controllo generale, ma non la vigilanza particolare delle varie anse del litorale o di punti di particolare importanza come la foce del Fine. A questo compito erano destinati i Cavalleggeri che percorrevano la costa tra torre e torre, lungo un percorso costiero che in alcuni tratti ancora ne porta il nome. La descrizione che della Torre di Vada dà l'ingegnere Odoardo Warren, incaricato nel decennio 1739-49 dai Lorena di una supervisione dei forti costieri, mostra che la Torre era circondata da un fossato probabilmente comunicante con il mare, superato da un ponte levatoio (ricalcato oggi da una passerella in muratura). Warren racconta come la torre fosse al centro di vaste e malsane paludi e che 'le truppe che vi vengono mantenute hanno l'aria di essere sempre malate'.
Annessa alla torre vi era la dipendenza assai ampia, costituita da una serie di locali che giravano intorno ad un cortile. Vi erano stanze destinate al castellano, gli alloggi della guarnigione, il forno, la stalla ed una cappella. Al contrario la torre era assai angusta, nonostante la sua mole, ed aveva spazi appena sufficienti al presidio militare, al guardiano del faro e a tenervi qualche pezzo di artiglieria.
Perduta nel corso dell'800 ogni importanza strategica, la Torre ha però continuato a funzionare come faro fino ad epoca molto recente. Fu proprio per installare un faro di maggiore portata che nel 1948-49 venne demolito l'originale tetto a padiglione, oggi ricostruito dopo un'accurata opera di restauro. Oggi la Torre del Faro è adibita a laboratorio di educazione ambientale.